Quando si parla di transponder RFId si intende generalmente una soluzione composta da un circuito microelettronico di piccolissime dimensioni solidale ad una antenna e a un supporto plastico che funge da etichetta autoadesiva (tale “sandwich” prende il nome di inlay).
Il circuito microelettronico è principalmente composto da silicio, come tutti i dispositivi elettronici integrati moderni; più in dettaglio è composto da 3 elementi principali con caratteristiche diverse: conduttori, semiconduttori ed isolanti, adeguatamente connessi tra loro per costruire celle base di memoria e di logica.
La figura che segue mostra, a puro scopo di esempio e non in scala, la sezione e la vista dall’alto di un elemento base della tecnologia microelettronica: un transistor NMOS. L’insieme di tali elementi è in grado di costruire celle di memoria volatile e non volatile, microprocessori e tutte le funzioni logiche necessarie per lo sviluppo di un circuito elettronico complesso.
Isolante
Metallo
Silicio Drogato P
Silicio Drogato N
Negli ultimi decenni la tecnologia legata alla produzione dei sistemi integrati ha fatto enormi passi, portando ad una miniaturizzazione sempre maggiore dei dispositivi, beneficiando quindi in densità e abbattendo i costi di circuiti sempre più complessi. Per fornire alcuni dati, la distanza L presentata in figura, denominata lunghezza di canale, ha oggi dimensioni pari e addirittura minori a 45nm, ovvero 45 x 10-9 metri.
Però le etichette RFId sono obiettivamente piuttosto complicate da realizzare: il silicio viene lavorato nelle multinazionali dotate degli impianti di diffusione, tagliato in piccolissimi quadretti (die) e consegnato ai produttori di antenne. Questi ultimi prendono un chip alla volta e tramite adesivi conduttivi lo connettono ad una antenna in rame o alluminio, ottenuta per deposito o etching, ed il tutto solidale a supporti plastici flessibili. A questo punto, utilizzando ancora materiali biadesivi, l’antenna viene accoppiata e costruita l’etichetta autoadesiva che conosciamo.
La rivoluzione a tale tecnica può essere vicina. Immaginiamo di disporre di una stampante desktop che disponga di 4 cartucce molto particolari: una contenente un inchiostro isolante, una contenente un inchiostro conduttivo e le ultime contenenti degli inchiostri semiconduttori che chiameremo P ed N. Premettendo che la risoluzione di una stampante a getto di inchiostro, per quanto alta, non può raggiungere quella dei sistemi laser e ottici che vengono impiegati nell’industria dei semiconduttori, l’idea è quella di stampare direttamente su di una etichetta il circuito elettronico ed i componenti che costituiscono l’RFId.
Certamente si tratterebbe di un circuito piuttosto obsoleto, in termini di densità, e quindi di memoria disponibile, ma anche in termini di caratteristiche elettriche quali consumi, impedenze e dimensioni. Il grande vantaggio però è l’eliminazione di tutti i passaggi dall’industria del silicio all’industria dell’etichetta, passaggi che come ben sappiano fanno lievitare il prezzo del prodotto al consumatore.
Certo non si tratta di un traguardo facile, anche considerando le implicazioni in ambito di sicurezza. Si tenga presente, ad esempio, l’identificativo univoco che caratterizza i tag ISO15693 HF: tale identificativo è garantito dall’industria dei semiconduttori ma se ognuno potesse stamparsi il proprio RFId “in ufficio” chi può garantirne il rispetto?
Conclusioni
Nuovi approcci per la costruzione di RFId direttamente sull’etichetta sono stati presentati. Idee innovative non senza problemi, come quelli sorti per la sicurezza.